La nuova infrastruttura bloccata da
quindici anni. E ora c’è un nuovo ricorso. L’ultima opera della legge obiettivo
prima del nuovo codice appalti rischia di impantanarsi in una palude di carte
bollate.
Quindici anni
non sono bastati perché gli ingegneri avessero la meglio sugli avvocati. Così,
nel luglio del 2016, l’ultima opera della morente legge obiettivo prima del
nuovo codice degli appalti rischia di impantanarsi di nuovo in una palude di
carte bollate. Parliamo dell’autostrada Roma-Latina e Cisterna-Valmontone, una
roba da 2,8 miliardi che dovrebbe essere realizzata con quello che è in voga
definire project financing. Traduzione: i privati ci mettono i soldi e si
rifanno con i pedaggi. Ma è un project financing all’amatriciana. Non proprio
tutti i soldi sono privati, e come sempre finisce in un pasticcio. C’è infatti
un contributo pubblico di 902 milioni, e quello scatena una guerra senza
precedenti. Alla gara indetta dalla Autostrade del Lazio, società pubblica al
50% fra Anas e Regione Lazio, si presentano in due: il consorzio Sis, composto
dai torinesi Dogliani e dall’iberica Sacyr, e un’alleanza tutta italiana fra
Impregilo, Astaldi, Pizzarotti e Ghella. Quando si aprono le buste dell’offerta
tecnica sono in vantaggio i quattro italiani. Ma alla verifica dell’offerta
economica ecco il sorpasso. La cordata Impregilo propone uno sconto di 303
milioni del contributo pubblico: da 902 a 605 per l’intera tratta e da 468 a
367 per la sola Roma-Latina. Il suo avversario però spiazza chiunque. Non
chiede infatti un solo euro. Non a fondo perduto, almeno. Nel senso che quei
902 milioni li vuole tutti quanti e subito, ma si impegna a restituirli con un
interesse del 5%. Dopo trent’anni dall’avvio della concessione e senza garanzie
finanziarie.
Il ricorso di Impregilo
Tanto basta per
dare fuoco alle polveri. Il 23 giugno pochi giorni dopo che l’appalto è stato
aggiudicato in via provvisoria, parte da Impregilo la richiesta all’Anas, alla
Regione e ai ministero dell’Economia e delle Infrastrutture a dichiarare
inammissibile l’offerta degli italo-spagnoli. Con la seguente motivazione: se
il gruppo Sis dice che restituirà il contributo pubblico, questo deve
necessariamente essere in relazione con stime di traffico spropositate. Dunque
come può garantirne la restituzione? Già a marzo la cordata Impregilo, del
resto, aveva fatto ricorso al Tar chiedendo l’annullamento della gara. Il cui
esito singolare non aveva mancato di sollevare qualche domanda nella stessa
stazione appaltante, se è vero che era stato sollecitato alla commissione
aggiudicatrice un supplemento di istruttoria: ricevendo tuttavia una conferma
del giudizio in favore del gruppo italo-spagnolo. Esiste anche un precedente,
riguardante il raccordo autostradale Ferrara-Porto Garibaldi. In quel caso,
come in questo, la gara era stata vinta dal consorzio (guidato da Autobrennero)
che aveva promesso di restituire il contributo pubblico: particolare curioso,
del raggruppamento faceva parte anche la Pizzarotti, che ora invece contesta
quel meccanismo.
La mediazione di Autostrade del Lazio
Per risolvere
la controversia Autostrade del Lazio propone allora ai ricorrenti di congelare
l’azione promossa davanti al Tar per poter ottenere un parere dell’autorità
Anticorruzione di Cantone. Ma il ricorso non viene ritirato. Così a restare nel
congelatore è il parere dell’Anac, che su quella gara surreale ha intanto
aperto un’istruttoria. E il 6 luglio arriva l’aggiudicazione definitiva
dell’appalto al consorzio Sis, con il contestuale annuncio di un nuovo ricorso
al Tar degli sconfitti. Avanti dunque con gli avvocati e le scartoffie. La
morale, purtroppo, è sempre la stessa. Bandi confezionati spesso con il
copia-incolla, in modo discutibile, con gare che durano all’infinito: questa è
cominciata addirittura nel 2012, quattro anni fa. Nessuna certezza sui tempi e
i costi delle opere, con il risultato di vanificare qualunque seria finanza di
progetto. Il tutto regolarmente imprigionato in una giungla di cause, ricorsi e
controricorsi.
Un calvario iniziato nel 2001
Il Calvario
della Roma-Latina comincia nel 2001, quando la giunta laziale di Francesco
Storace decide di affidare l’operazione a una joint venture pubblico-privata
che si chiama Arcea: 51 per cento Regione Lazio, 49 suddiviso fra Autostrade,
Monte dei Paschi, e un consorzio dai toni rossoneri. Accanto alla cooperativa
Ccc che fa capo alla Legacoop troviamo infatti Erasmo Cinque, già capo dei
costruttori romani, il cui studio trabocca di ritratti di Benito Mussolini. La
cosa però non va avanti anche perché Bruxelles — com’era immaginabile — pianta
una grana sul fatto che non si possono assegnare concessioni pubbliche a
privati senza una gara. Poi nel 2008 Piero Marrazzo azzera tutto: fuori i
privati, dentro l’Anas. Cinque e gli altri innescano il solito arbitrato,
chiedendo danni per 859 milioni. E ci sarebbe quasi da ridere. Peccato che
quattro anni fa, proprio mentre parte la gara ora contestata, il collegio
arbitrale riconosca loro un danno di 43 milioni...
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